PRO PATRIA Un progetto sulla memoria della Prima guerra mondiale in Italia. Pro patria è un’espressione tratta dal verso di Orazio “Dulce et decorum est pro patria mori” (“È dolce e onorevole morire per la patria”). Queste parole erano spesso citate dai sostenitori di quella che oggi conosciamo come Prima guerra mondiale, ma che allora era considerata la Quarta (e ultima) guerra d’indipendenza, motivo per cui - cosa oggi difficile da credere - molti studenti e intellettuali, e perfino una parte del Partito Socialista, erano interventisti. La guerra provocò oltre un milione di morti in Italia, tra militari e civili. Fu uno shock enorme, tanto più che si pensava sarebbe stata una guerra facile e veloce (“Saremo a Vienna per Natale” aveva detto il Generale Porro nel maggio del 1915). Un secolo dopo, oggi in Italia la Grande guerra è percepita dai più come qualcosa di molto remoto, che si studia sui libri di storia ma che non ha connessioni con il presente. Sono passati solo vent’anni tra la fine della Prima guerra mondiale e l’inizio della seconda, ma il solco è profondissimo: ogni anno ci sono manifestazioni per il 25 aprile e si parla di Resistenza (e foibe), ma della prima guerra si è giusto celebrato il centenario; tutti sanno chi era Mussolini, mentre Cadorna è poco più che un nome sulle targhe delle vie e piazze italiane. L’obiettivo del progetto Pro Patria è rendere più viva la memoria di questa guerra, attraverso fotografie, immagini d’archivio e vari documenti. Il lavoro è suddiviso in cinque sezioni:
Ritratti di soldati italiani, presi da un manifesto commemorativo del dopoguerra, sbiaditi fino a diventare quasi invisibili, come fantasmi di un tempo dimenticato. (Anche se, in un certo senso, quegli uomini erano invisibili anche da vivi, perché per i generali erano solo numeri, e perché la censura e la propaganda facevano in modo che i civili non sapessero cosa succedeva realmente in prima linea).
Fotografie di paesaggio, scattate per lo più lungo la linea del fronte nel nord-est italiano. Più che documentare quei luoghi, lo scopo di queste immagini, intervallate da alcune fotografie d’epoca, è di cercare di rendere la visione soggettiva dei soldati quando combattevano sotto le bombe e il fuoco delle mitragliatrici.
Fotografie di statue commemorative, che ancora oggi si trovano a centinaia in tutta Italia, anche nei paesi più piccoli. Il loro scopo era l'esaltazione del sacrificio, ma dopo un secolo queste statue portano i segni del tempo che passa, la presunta gloria di morire in guerra si è consumata, e ora sono una rappresentazione più realistica della durezza della vita militare.
Motivazioni delle medaglie al valore. La propaganda ha bisogno di eroi, e la prima guerra mondiale ne ha forniti molti. I soldati che si distinsero sul campo di battaglia furono premiati con la Medaglia d'Oro al Valor Militare, la più alta decorazione militare - di solito postuma - in Italia. I testi descrivono il motivo per cui le medaglie sono state date, e sono tratte dal sito web della Presidenza della Repubblica Italiana. Non possiamo sapere con certezza cosa ne pensassero gli italiani all'epoca, ma se le leggiamo oggi sono così retoriche da suonare false, anche se molte di esse descrivono quanto crudele fosse davvero la guerra di trincea, e quanto inutile e assurdo fosse il sacrificio dietro queste medaglie.
Sentenze dei tribunali militari. La propaganda ha bisogno di eroi, ma la prima guerra mondiale ha fornito in abbondanza anche traditori (spesso presunti tali). Molto più in Italia che in qualsiasi altro esercito in guerra, in realtà, a causa del modo disumano in cui venivano trattati i soldati italiani (due esempi: l'unico modo onorevole di combattere era l'assalto frontale, anche quando significava correre in salita in terreno aperto contro le mitragliatrici nemiche; e dopo l'agosto 1917, essere in ritardo di 24 ore al ritorno da una licenza era considerato diserzione). Quindi non c'è da meravigliarsi che il sei per cento dei soldati affrontò un'accusa disciplinare durante la guerra, 750 furono giustiziati (più di 1000, secondo alcune fonti), e intere unità furono punite con la "decimazione", giustiziando uomini scelti a caso quando non era possibile identificare i colpevoli. L'esercito e il governo cercarono naturalmente di stendere un velo su tutto questo dopo la guerra, e solo alla fine degli anni '60, scavando nell'Archivio di Stato di Roma, furono pubblicati gli atti di circa 160 processi, facendo luce su questi comportamenti. Qui presento alcune di queste sentenze.